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Libro Insospettabile peccatore

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Messaggio Da Admin Lun Mar 08, 2021 12:14 am

Capitolo 1
Anni…
Decine e decine di anni.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che era stato libero? Cinquant’anni? Ottanta?
Forse quasi un secolo.
Da molto ormai aveva perso la cognizione del tempo, non contava più da un pezzo quei lunghi giorni tutti uguali.
Era vero che, nella lunga vita di un demone, un secolo era poco più che il battito d’ali di una farfalla; ma essere prigionieri come lui rendeva persino un battito d’ali, insopportabilmente lungo.
Midgar si riscosse da quello stato di autocommiserazione in cui era sprofondato. Accadeva un po’ troppo spesso, per i suoi gusti, negli ultimi tempi.
Scosse la testa, alzandosi in piedi ed allontanandosi dalla barriera che separava lui e la sua gente dai quelli che ormai erano i dominatori di quella dimensione.
Una barriera percettibile anche a grande distanza per l’energia che emanava, ma invisibile. Un’ultima beffa di quei dannati esseri piumati. Oltre a relegarli in quella prigione apparentemente senza mura, avevano fatto in modo che avessero sotto gli occhi, per ogni giorno della loro esistenza, la libertà che tanto agognavano.
Un’alternativa clemente all’ucciderli probabilmente. Non a caso erano angeli…
All’esterno, fin dove l’occhio correva, c’era una grande distesa di sabbia e roccia, che, quando il sole era alto, diventava rovente. Proprio all’orizzonte, in quella che sembrava essere un’oasi naturale, racchiusa tra due creste di roccia bianca, sorgeva la capitale degli angeli. era una visione meravigliosa e dolorosa. Svettava proprio al centro di essa il palazzo di ghiaccio, dimora dei reali. Un castello di marmo e cristallo dai riflessi di un’aurora boreale.
Ricordava bene quando avevano tentato un assalto diretto su più fronti e aveva potuto dargli uno sguardo da vicino...
Nonostante cercasse di riemergere da quei pensieri densi come miele, la mente di Midgar corse a quell’ultima, sanguinosa battaglia; battaglia di cui portava ancora il segno, sottoforma di una cicatrice scura che tracciava, sulla sua pelle chiara, una linea segmentata dallo sterno destro fino al fianco sinistro.
Un miracolo che fosse ancora vivo, gli avevano detto. Un miracolo e una condanna. In certi momenti agognava la morte più di ogni altra cosa.
I demoni non erano fatti per stare prigionieri.
Ancora si chiedeva come avevano fatto gli angeli a schiacciarli in modo così netto.
Probabilmente grazie al loro smisurato amore per gli esseri umani, patetiche e mortali creature che abitavano una dimensione limitrofa alla loro. Creature di cui gli angeli si erano eletti protettori, vedendoli così deboli e privi di difese. Impotenti in confronto ai demoni. Erano arrivati persino, nei secoli, a mischiare il loro sangue con quegli esseri inferiori.
Che eresia!
Loro, come i demoni, erano creature superiori, non avrebbero dovuto permettere una cosa del genere.
Anche se, doveva ammetterlo, quello aveva reso le loro file più forti e il loro numero più elevato.
Loro, invece, quasi in parallelo si erano lentamente indeboliti.
Loro, creature nate per combattere, avevano un numero maggiore di guerrieri. La loro natura li portava ad avere un numero di figlie femmine nettamente inferiore ai maschi, all’incirca una bambina ogni sette. Era sempre stato così, da quando ne avevano memoria; quello in passato era stato un vantaggio, li aveva portati ad essere forti e temuti.
Fino all’inizio della guerra.
La guerra.
Era durata quanto? Due secoli all’incirca?
Non ricordava nemmeno quando o perché fosse iniziata. Né lui né i suoi fratelli erano ancora nati all’epoca.
Il filo dei pensieri lo portò al momento in cui era cominciato il loro declino. Quella che all’inizio era la loro forza era diventata, nel giro di un secolo, la loro più grande debolezza. Il numero di guerrieri diminuiva e il ricambio generazionale non era sufficiente…
Poi c’era stato il colpo di grazia, il momento in cui, ad un tratto, gli angeli avevano cambiato totalmente la loro strategia e, in un attacco mirato e praticamente suicida, avevano preso di mira le loro femmine, decimandone ulteriormente il numero. A pensarci gli sembrava ancora così folle, erano sempre stati sempre così sulla difensiva, così impegnati a cercare di mediare, di trovare soluzioni pacifiche…
Da quel che era riuscito a sapere quel brusco cambiamento era avvenuto in seguito alla morte in battaglia del loro sovrano e alla presa di potere del giovane principe.
Quelli che avevano avuto il dispiacere di incontrarlo di persona non esitavano a definirlo un mostro...
Midgar fece una smorfia, allontanandosi dalla barriera e dalle guardie che camminavano, al di fuori di essa.
Si mosse, per evitare di sprofondare di nuovo nel torpore, passando vicino ad un gruppo di demoni che giocavano a dadi, sulla riva di una pozza d’acqua.
C’era chi si adattava meglio di altri a quella situazione.
A ben vedere, prigionia a parte, non mancava loro né cibo né acqua. Ma al demone quello non bastava.
“Ehi, Midgar!” Uno dei demoni, basso e tozzo, gli fece segno di avvicinarsi. “Vuoi unirti a noi?”
Midgar assottigliò lo sguardo, gli occhi color miele divennero due fessure. “Anche se siamo relegati nella stessa prigione non vuol dire che tu possa rivolgerti a me con tanta familiarità”, sibilò, zittendolo. Lo guardò ancora per un momento, fino a che il demone non tornò ad abbassare lo sguardo, poi scosse la testa, inginocchiandosi sul bordo della pozza ed allungando le mani per dissetarsi.
Un pensiero rapidissimo gli balenò per la mente, se avesse usato le proprie unghie, lunghe e affilate, per uccidersi?
Avrebbe potuto ficcarsele in gola a quel punto…
Sbatté più volte le palpebre, ritrovandosi a fissare il suo riflesso, nell’acqua. Quei pensieri si facevano sempre più frequenti ed invitanti.
Si concentrò sulla propria immagine, sui propri lineamenti affilati e risoluti, sulle labbra sottili che lasciavano intravedere i denti aguzzi, sul fisico forte ed atletico.
Guardati, si disse. vuoi davvero toccare il fondo a questo modo?
Togliersi la vita sarebbe stato un atto di codardia imperdonabile.
Si abbassò per bagnarsi il volto ed i lunghi capelli corvini con l’acqua gelida, poi si rialzò, riprendendo a camminare, rabbrividendo per i rivoli d’acqua gelida che gli scivolavano lungo la schiena e sul petto nudo..
Il freddo, sebbene spiacevole, era una sensazione che lo faceva sentire ancora vivo. Infilò le mani nelle tasche degli stretti pantaloni di pelle chiara che portava, guardandosi intorno, cercando qualche demone di bell’aspetto per portarselo a letto. A cosa si era ridotto per spezzare la monotonia...
Ad un tratto, in quel suo camminare senza meta, si fermò.
Aveva avvertito qualcosa di diverso; una sorta di nota stonata nella vibrazione emanata dalla barriera. Una nota più debole delle altre.
Si avvicinò cercando di non dare nell’occhio. Non si sbagliava, come una crepa in uno specchio, era proprio lì. Un cedimento nella barriera, sottile come un filo
Midgar socchiuse gli occhi, pensieroso, era un’occasione che non poteva perdere!
Fece per girarsi, ed andare ad avvertire i suoi fratelli, ma qualcosa lo bloccò. Tornò a fissare quella minuscola crepa.
Era stato colto dal timore che, se si fosse allontatato, la debolezza avrebbe potuto semplicemente svanire, così come era apparsa. Si sentì soffocare a quel pensiero.
No, non poteva andarsene. Un egoismo misto alla paranoia avvolse i suoi pensieri.
Gli altri avrebbero dovuto arrangiarsi, si disse, sedendosi su una roccia, facendo finta di nulla, mentre elaborava un piano.
Era impossibile far crollare la barriera, solo un angelo avrebbe potuto farlo, ma se si fosse impegnato avrebbe potuto dilatare quella minuscola crepa e riuscire ad evadere.
Sapeva perfettamente di non avere futuro in quel mondo angelico ma, se fosse riuscito a raggiungere la dimensione in cui vivevano gli umani, avrebbe potuto cavarsela.
Nel peggiore dei casi lo avrebbero ammazzato, ma dal suo punto di vista era più accettabile dl vivere prigionieri e una più che onorevole alternativa al suicidio.
Sospirò, alzandosi e stiracchiandosi con fare noncurante.
Avrebbe agito quella notte…

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